Il parto indotto è un parto nel quale il travaglio viene o fatto cominciare o stimolato ricorrendo a metodi artificiali. Si tratta di un’induzione che è purtroppo necessaria in un buon numero di parti e che è diventata, al giorno d’oggi, una pratica estremamente comune negli ospedali.
Le tecniche utilizzate sono diverse, nessuna completamente sicura al 100%, anche se ormai patrimonio di ogni buon reparto di ostetricia.
Quanto è comune?
Il parto indotto è più comune di quello che si potrebbe pensare. Siamo davanti a procedure che infatti vengono utilizzate 1 parto su 5 solo nel nostro paese, guadagnandosi il primato di intervento più attuato dai reparti di ostetricia.
Quando fare il parto indotto?
Il parto indotto viene messo in pratica solo quando sia estremamente indispensabile. La valutazione spetta solo al ginecologo, che in base ai dati in suo possesso deciderà se sia il caso o meno di indurre il parto. I casi più comuni di applicazione del parto indotto sono:
- Situazioni in cui il limite temporale della gravidanza è stato superato. Superata la scadenza, è necessario indurre il travaglio per portare a termine la nascita. Il rischio, in questi casi, infatti, è che il feto continui a crescere, rendendo ancora più difficile il parto completamente naturale.
- Acque che si sono rotte, senza però che ci siano contrazioni dell’utero sufficienti al parto. Questa condizione infatti è foriera di infezioni sia per la gestante che per il bambino.
- Utero che ha un’infezione importante.
- Liquido amniotico che è insufficiente. È una condizione piuttosto tipica, che non crea disturbo, ma che in alcune specifiche circostanze può andare a creare qualche problema.
- Placenta distaccata. Quando la placenta si stacca dalla parete dell’utero è spesso necessario intervenire con un parto indotto. Si tratta di una condizione, anche questa, piuttosto comune e che causa diffuso allarme tra gli specialisti.
Le procedure per il parto indotto
Ci sono 4 procedure standard che vengono utilizzate per indurre il parto:
- Scollamento delle membrane: si tratta di una procedura messa in pratica dall’ostetrico, il quale, con l’aiuto delle sue sole mani, esegue delle manovre che devono aiutare a separare il sacco amniotico dall’utero. È una procedura piuttosto semplice, che viene utilizzata come principale metodologia per il parto indotto.
- Amniotomia: si rompono le acque volontariamente, praticando una piccola incisione sul sacco amniotico. È indicata quando la cervice si è già assottigliata a sufficienza. In caso contrario, si procede con la tecnica di cui vi parleremo tra pochissimo.
- Dilatazione cervicale: si utilizzano in questo caso farmaci, come prostaglandine di sintesi sia per via orale sia applicate in forma di crema nell’utero. Si possono usare anche dei dilatatori meccanici, ai quali si ricorre sempre meno di frequente.
I rischi del parto indotto
Il parto indotto non è purtroppo scevro da rischi. Tra i più comuni troviamo:
- Sofferenza fetale;
- Distacco della placenta;
- Rottura uterina, che può assumere anche proporzioni importanti.
Si tratta di rischi che vengono in genere ponderati dal ginecologo e dall’ostetrico prima di procedere. È soprattutto la sofferenza fetale a preoccupare: è una situazione durante la quale il feto è, a causa di una bassa ossigenazione, in pericolo. Si tratta di una situazione che però può essere, il più delle volte, controllata senza problemi da un ostetrico esperto.
E’ doloroso?
Sembrerebbe proprio di sì. Secondo la maggior parte delle donne, infatti, il parto indotto è ancora più doloroso di quello normale in quanto le contrazioni non si avvertono in maniera graduale, ma partono immediatamente.